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La lavagna - Modenesità

Assaggio di Modenesità

GROG
Scritto il 15/11/2008
da GROG
Sto leggendo un libro in questi giorni, vi propongo la presentazione, un po' tagliata qua e là, tanto per farvi edotti della mia amena lettura.

Il libro è: "Civiltà della tavola a Modena, Giorgio Maioli, Anniballi ed. Bologna, 1985". Non so se si trova ancora in libreria, intanto io ve ne dò un assaggio.

Questa prefazione tagliata è stata scritta da Gian Carlo Silingardi

� risaputo che gli storici non sono d'accordo sulla data d'inizio della civiltà. Una delle ipotesi più verosimili è che essa debba essere fatta risalire al momento in cui un uomo che non conoscia¬mo scoprì, non sappiamo come, il fuoco, buono per rischiarare le tenebre misteriose, per tenere lontani gli animali feroci, per scaldare le membra intirizzite e, ci siamo, per abbrustolire le carni che fino ad allora erano state mangiate crude. Questo per dire che civiltà e gastronomia nacquero insieme ed è il caso di aggiungere che in seguito fecero insieme lungo tratto di cammino.
La premessa è finita, incomincia la presentazione. Giorgio Maioli, ben noto giornalista, dili¬gente ricercatore, elegante scrittore. Egli è modenese di nascita e nella no¬stra città è ritornato dopo anni di lavoro e di esperienze vissute altrove, ma l'ha ritrovata tale e quale, dietro un velo di nebbia, la Ghirlandina in alto, le vecchie case in basso, in fila, le fughe dei portici lungo le contrade tortuose ed oscure, là dove ogni bottega conserva un suo odore, uno per le drogherie, uno per le salumerie, uno per i caffè.
Da qui ha iniziato un lungo viaggio attraverso la nostra tradizione gastronomica.
La prima tappa è il passato, per essere esatti il Cinquecento, quando il nostro Tommasino de' Lancellotti, continuando le cronache locali iniziate dal padre Jacopino, ci diede interessantissime notizie sulla vita della nostra città. La prima sconsolante annotazione è che già in quegli anni lontani la disuguaglianza sociale portava ad aspri contrasti. I nobili consumavano il loro tempo in pantagruelici, interminabili banchetti anche quando le carestie infierivano, il prezzo del pane, alimento base dei più, rincarava e la poveraglia sfogava risentimenti e rancori già antichi in inutili tumulti al grido tenibile di «Pane! Pane!». Per i nobili c'erano lasagne, maccheroni, trippa, tar¬tufi, zuppe di formaggio, petti di vitello e di capretto, capponi lessi, piselli fritti, torte di prugne, pere in saba, lattemiele, mascarpone, tutti in un solo pranzo; per i poveri fame nera per intere settimane. Nei palazzi e nelle ville dei signori, dunque, nacquero le prime ricette, tanto importanti che Cristoforo di Messisbugo, maestro di corte, le registrò nel suo "Libro Novo". Tra esse troviamo già le brazzatelle, i ravioli da grasso e da magro, la salciccia fina, il cotichino di Modena e, in più, il vino Trebbiano, tutti ancora oggi noti ed apprezzati.
Alla fine il viaggio di Maioli arriva ai nostri giorni. L'autore riscopre i sapori e i profumi dell'infanzia, di quando ci si alzava prima del sole per impastare il pane, per cuocerlo nel forno, di quando la "rezdóra" tirava la sfoglia in casa e il "rezdór" faceva il vino in cantina.
In fondo il consuntivo induce a un cauto ottimismo. Di quei tempi ci resta più di quanto pen¬siamo. Ancora ci è dato di conoscere le delizie delle tagliatelle col ragù, dei tortellini, dei tortelli, delle lasagne, degli arrosti, dei bolliti, dello zampone e, alla fine, del lambrusco, teneramente amato dal Carducci e da molti altri, questo vino, come dice l'autore, disinvolto, allegro, beffeggiatore e briccone.
Non è finita. Modena ha una provincia, la provincia ha dei paesi dove il tempo è galantuomo e ci ha conservato altre ricette preziose: la torta degli ebrei di Finale Emilia, la mostarda di Carpi, gli amaretti di Spilamberto, la torta barozzi di Vignola, i borlenghi di Zocca, le crescenti di Montalbano, le tiade di Fiumalbo e molte, molte altre. Così, dopo Modena, Maioli è andato in provincia, a San Prospero, a Rubbiara, a Castelfranco, a Castelvetro, ad Acquaria, nei ristoranti in cui tutto è rimasto prodigiosamente naturale e schietto, ha cercato, ha trovato altre ricette e ve le ha diligentemente trascritte.
Infine ci sono i personaggi, da intervistare, soprattutto da ascoltare, Giorgio Fini, figlio di Telesforo e di Giuditta Fini, che nel 1912, in un retrobottega con i loro celeberrimi maltagliati e fa¬gioli iniziarono un'attività destinata ad assurgere al rango di grande industria, e poi gli esperti, i giornalisti, Arrigo Levi, Guglielmo Zucconi, gli scrittori, Renato Bergonzini, Ugo Preti, anche un uomo politico, l'onorevole Franco Bortolani. E si chiude col commosso ricordo di Dario Zanasi, indimenticabile columnist gastronomico.